Se c’è una cosa che ci unisce tutti, è il condividere battute, riferimenti e frasi iconiche che diventano parte del nostro linguaggio quotidiano. Negli anni ’80 e ’90 li chiamavamo tormentoni, oggi parliamo di meme e trend sui social. Ma cosa è cambiato davvero?
L’evoluzione del tormentone e la nascita del meme
Prima dei meme digitali, c’erano i tormentoni televisivi e pubblicitari. Frasi come “Il caffè è un piacere, se non è buono che piacere è?” o espressioni rese celebri da comici e conduttori entravano nel linguaggio comune, creando un senso di appartenenza tra chi le ripeteva. Programmi come Mai Dire Gol con le gag di Aldo, Giovanni e Giacomo, Fabio De Luigi, Paola Cortellesi ecc, hanno segnato una generazione, proprio come sta succedendo oggi con i meme virali.
Con l’arrivo di internet, il tormentone si è evoluto in qualcosa di più veloce e globale: il meme. I primi erano immagini semplici con testi sovrapposti, spesso pixelate e di bassa qualità, ma con un impatto enorme (chi si ricorda il trollface o il Doge?). I social hanno dato una spinta incredibile, trasformando questi contenuti in fenomeni di massa. Se tra il 2009 e il 2015, Facebook era il regno dei meme statici; oggi Instagram prima e TikTok poi, hanno portato l’evoluzione successiva: il meme è diventato un trend da replicare, remixare e diffondere in pochi giorni, prima di essere sostituito da qualcos’altro.
Trend e viralità: la nuova forma di meme e l’appartenenza ad una community
La grande differenza rispetto al passato è la velocità con cui nascono e muoiono: se un tormentone anni ’90 poteva durare mesi, un meme oggi può essere dimenticato in una settimana. Replicare gli slogan di carosello, citare a memoria le battute di Boris o ripetere le catchphrase di uno streamer famoso, sono cose che le varie generazioni hanno sempre fatto. Si tratta di utilizzare un codice condiviso che crea appartenenza. Quello che è cambiato nel corso degli anni è il maggior numero di stimoli che arrivano e la possibilità di far vedere che si è in grado di replicarli. Oggi siamo entrati nell’era dei trend: balletti, challenge e format che chiunque può reinterpretare, dando vita a ondate di contenuti virali.
Non bisogna sottovalutare la potenza di tutto ciò, i meme non sono solo una moda, ma un modo per identificarsi in una community. I content creator, o se preferite “gli influencer”, usano meme ricorrenti per fidelizzare il loro pubblico, trasformando un semplice contenuto in un simbolo di riconoscimento per i loro follower. Spesso anche involontario. Se vi capita di sentir parlare un gruppo di ragazzi tra i 14 e i 22 anni, è molto probabile che ogni 3 frasi sentirete dire “Letskosgki” o “mio padre”: espressioni prese da meme trovati su internet che sono diventate di uso quotidiano. E potremmo trovarne per ogni fascia di età o categoria di persone.
Ma non solo, se pensiamo ad un contesto più generale, un esempio perfetto è il FantaSanremo, nato come gioco tra amici e diventato un fenomeno nazionale grazie alla condivisione e all’ironia dei social. Un tempo il Festival era visto come una cosa “da boomer”, oggi invece è tornato sulla cresta dell’onda proprio grazie ai meme e alle sfide online.
MarketingMeme
Con il passare degli anni però, è interessante vedere come nel campo della comunicazione commerciale si è ribaltata la situazione, è difficile che adesso da una pubblicità nasca un tormentone, è molto più facile però che venga utilizzato un meme o un trend per pubblicizzare un prodotto. Oggi, sempre più brand li usano per comunicare in modo diretto e coinvolgente, è diventato un vero e proprio modo di fare marketing. Un esempio eclatante è quello de “L’ora dello sbusto”. Tra settembre e ottobre 2024, la simpatica clip di un jingle improvvisato dallo streamer Dario Moccia è diventata molto virale sui social, al punto che diverse aziende l’hanno utilizzata per fare promozioni ai loro prodotti e strizzare l’occhio ad una parte di pubblico che con la pubblicità “generica” probabilmente non raggiungerebbe.
Il lato oscuro della generazione dei meme
Se da un lato i meme sono un potente strumento di comunicazione e aggregazione, dall’altro possono diventare una giustificazione per atteggiamenti tossici. Sui social, soprattutto su piattaforme come X e TikTok, è sempre più comune l’uso di meme per mascherare commenti offensivi o atteggiamenti estremi con la scusa del “è solo un meme”. La cultura dell’anonimato e dei nickname fittizi rende tutto ancora più facile, abbassando la soglia della responsabilità personale. Un fenomeno che, se non gestito, rischia di trasformare l’ironia in veleno e di creare ambienti digitali e non sempre più tossici, soprattutto nei confronti di chi non ha tutto ciò che gli serve per distinguere l’ironia social dalla vita quotidiana.
Conclusione
Dai tormentoni TV ai meme su TikTok, quello che non è mai cambiato è il bisogno di condividere e creare un linguaggio comune. La differenza? Oggi è tutto più veloce, interattivo e globale. Viviamo da anni nell’era dei meme, dove ogni contenuto può diventare virale e ogni trend dura il tempo di uno scroll. Ma se da un lato i meme sono la nuova forma di cultura pop, dall’altro è importante non perdere di vista i confini tra ironia e tossicità