Buone notizie dal territorio

Giornalismo costruttivo e pratiche “felici”

Cohousing, una delle soluzioni possibili alla
carenza di alloggi e all'isolamento sociale

Che cos’è il giornalismo costruttivo?

Alcuni lo definiscono ‘la nuova frontiera’ del giornalismo.

Più sommessamente, è un punto di osservazione dal quale guardare alla realtà. Il giornalismo costruttivo non ignora i problemi ma si impegna a mettere la propria attenzione sulle soluzioni. E’ anche una buona pratica che mira a bilanciare una certa narrazione che tende al catastrofismo e per la quale vale la regola che più tragica o ‘mostruosa’ è la notizia, più lievita il numero di clic.

Dal Problema alla Soluzione

Dall’individuazione del problema alla narrazione della soluzione: punto di inizio e punto di approdo di un percorso dell’informazione equilibrato e, appunto, costruttivo. L’informazione sul problema è consegnata in modo sobrio e non scatena angoscia perché è accompagnata dall’informazione ‘costruttiva’: una possibile soluzione esiste e, da qualche parte, è persino già praticata. Con questo approccio siamo partiti alla ricerca di buone notizie…

Il problema: isolamento sociale e solitudini

Tanto si parla di invecchiamento della società, vita media più lunga e bassa natalità, come tratti distintivi delle società complesse e a capitalismo avanzato. Meno affrontato è, per contro, il problema che accompagna l’invecchiamento, ovvero l’isolamento sociale e la solitudine che ne consegue. La solitudine non riguarda solo gli anziani e soli sono anche i lavoratori di fronte a un mercato del lavoro spesso spietato. Soli studenti e studentesse fuori sede alla ricerca di un alloggio dove esercitare il loro diritto allo studio. Certamente di una solitudine diversa, ma sole sono anche le persone anziane quando la famiglia si frammenta e i figli si emancipano. Anziani che vivono soli in alloggi ormai troppo grandi, studenti e lavoratori che non trovano un alloggio: chi ha una casa troppo grande e chi non ce l’ha, il veleno del paradosso è servito.

Una possibile soluzione: il Cohousing che arriva dall’Europa del nord

La prima esperienza di Cohousing (coabitazione, in italiano) risale alla fine degli anni ’60 e si colloca in Danimarca. Non lontano da Copenhagen, una cinquantina di famiglie crearono una piccola comunità e andarono ad abitare insieme. Scelsero di condividere uno spazio abitativo, con un duplice intento: abbattere i costi e fornirsi aiuto reciproco nel quotidiano. Ricrearono cioè, all’interno della società più ampia, una comunità, una sorta di villaggio fatto di prossimità, relazioni e mutuo aiuto. La pratica, in breve, si diffuse anche nel resto dei paesi scandinavi, nel Regno Unito, in Olanda, fino a raggiungere anche gli Stati Uniti. Individui con lo stesso bisogno, o con bisogni complementari, si mettevano insieme, insieme diventando più forti e insieme dando vita alla soluzione.

In Italia ci sono esempi di Cohousing?

La risposta è sì! La pratica del cohousing, nelle sue molteplici modalità, è approdata anche in Italia intorno al 2000, a partire dalle città di Milano, Torino e Bologna. Se il bisogno più evidente al quale risponde è quello abitativo, il cohousing risponde in realtà anche a una massiccia e sempre crescente domanda di socialità. Uno degli esempi più interessanti di coabitazione in Italia ha preso terreno a Milano dal 2004, grazie al progetto “Prendi in casa” dell’associazione MeglioMilano, che vede tra i suoi fondatori anche le Università cittadine. Un residente (adulto, spesso anziano) con una stanza in più ‘prende in casa’ un giovane (studente o lavoratore) non residente in cerca di una sistemazione. Gli ospiti non pagano l’affitto ma partecipano alle spese con un rimborso, collaborano e si rendono disponibili, restando comunque autonomi. Condivisione di un alloggio, aiuto reciproco e compagnia, sono gli ingredienti di un progetto che non smette di mietere consensi.

E vicino a noi?

A San Martino in Villafranca, una frazione di Forlì, ci sono le Case Franche, un co-housing formato da diverse villette che ospitano in tutto 18 famiglie. Ogni nucleo ha una sua casetta ma condivide la gestione comune di alcuni importanti spazi di socialità con il vantaggio di una riduzione dei costi. Anche nel nostro territorio ci sono diversi esempi di cohousing, uno dei più conosciuti a Modena è Ca’ Nostra che, con il suo modello, ha fatto scuola in tutta Italia. Il progetto, attivato nel 2016, prevede la coabitazione in un appartamento a gestione famigliare, dove vivono anziani non autosufficienti o affetti da demenze. L’idea è nata dall’Associazione “G. P. Vecchi”, con il sostegno dell’Assessorato al welfare, del Centro Servizi per il Volontariato e il coinvolgimento del Terzo settore. L’esperimento di Ca’ Nostra è andato talmente bene che nel 2019 si è aggiunta una seconda struttura, sempre a Modena città, in zona Sant’Agnese. Tra gli ultimi nati nella nostra provincia, inaugurato a marzo di quest’anno a Finale Emilia, c’è poi “Interno 98”, progetto di cohousing dell’Unione Comuni Modenesi Area Nord e Comune di Mirandola, in convenzione con la Cooperativa Gulliver, che prevede la condivisione di spazi e servizi tra giovani e persone con disabilità, per l’autonomia abitativa e lavorativa.

Concludendo

Il cohousing, che nasce come soluzione a un disagio, si sta via via rivelando una pratica ‘felice’ che piace sempre più!

 

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