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“Secondo me” non è un dato

Idee, percezioni e dati misurabili: perché non tutto è opinabile.

Ci sono le idee e poi ci sono i fatti.
Ci sono i dati e poi ci sono le percezioni.
Queste potranno sembrare delle distinzioni banali, elementari, ma oggi più che mai sono fondamentali. Nella società dell’informazione perenne – o della disinformazione perenne, a seconda dei punti di vista – tenere separati ciò che è reale da ciò che viene percepito, ciò che è oggettivo da ciò che è opinabile, è un atto non solo intellettualmente onesto, ma profondamente politico.

Percezione vs. Realtà

Il report “Perils of Perception 2024” di Ipsos offre un’analisi del divario tra percezione soggettiva e realtà oggettiva su temi chiave in 30 Paesi. Il focus generale è proprio sulle conseguenze delle errate percezioni collettive e su come esse influenzino fiducia, decisioni pubbliche e clima sociale. Se guardiamo all’Italia possiamo leggere che “dopo un decennio di ricerche, alcuni aspetti sembrano restare costanti, come la convinzione diffusa che i tassi di criminalità siano in crescita e la tendenza a sovrastimare la percentuale di immigrati nella popolazione”.
Il punto critico non è tanto nella differenza numerica tra dato percepito e dato reale, quanto nel fatto che siamo profondamente convinti che la nostra percezione sia, di per sé, una prova della realtà. Tendiamo a fidarci ciecamente del nostro sguardo e del nostro vissuto dimenticando che tutto questo rappresenta solo un frammento del quadro complessivo.
E il rischio aumenta quando, su quella percezione parziale, costruiamo idee forti, opinioni rigide, convinzioni che si trasformano in verità personali, difficili da mettere in discussione. Forse dovremmo allenarci di più al dubbio perché, quando si parla di fenomeni collettivi e complessi, questo non rappresenta un atto di debolezza, ma una forma di responsabilità. Soprattutto se da quella percezione dipendono le nostre scelte, le nostre parole e i nostri giudizi sugli altri.

Fatti vs. Opinioni

Un secondo livello, ancora più delicato, riguarda la distinzione tra opinioni e fatti.
Nel dibattito pubblico – e ancor più quando si parla di temi sensibili – è fondamentale distinguere tra ciò che è una posizione legittima e ciò che è un dato oggettivo.
Facciamo un esempio. 
Possiamo tutti avere idee diverse sul ruolo delle così dette “quote rosa” nel mondo del lavoro: c’è chi lo considera un motore di progresso e chi invece lo ritiene superfluo o persino dannoso. Questo rientra nella sfera delle opinioni personali. Tuttavia, quando per rafforzare la propria tesi si afferma che le donne hanno raggiunto la piena parità salariale rispetto agli uomini, non ci troviamo più nel territorio delle opinioni: stiamo parlando di un fatto. E i fatti devono poggiare su dati verificabili. In Italia, secondo il Gender Equality Index, il gender pay gap è tutt’altro che superato, sebbene vari per settore, ruolo e fascia d’età. Negarlo non è esprimere un’opinione: è falsificare la realtà.
La libertà di pensiero è un valore assoluto, ma non implica la libertà di deformare i dati o ignorare l’evidenza empirica.

E se ci sbagliassimo?

Certo, potremmo aprire ora il grande capitolo dei bias cognitivi – e prima o poi lo faremo- perché è anche nel modo in cui il nostro cervello seleziona, semplifica e a volte distorce la realtà, che si nasconde una parte importante del problema. E non è tutto. A complicare le cose c’è anche il contesto in cui ci informiamo: viviamo spesso dentro delle vere e proprie filter bubble, ambienti digitali in cui leggiamo solo ciò che conferma le nostre idee, mentre tutto il resto sparisce o ci sembra minaccioso. Con la volontà di affrontare al più presto in questa rubrica i temi sopracitati, per questa volta restiamo su questo primo fondamentale passo: saper distinguere.
Allenarsi a distinguere tra realtà e percezione non significa rinunciare alle proprie idee, ma imparare a metterle alla prova. Non è un invito a diffidare del pensiero critico, al contrario: è proprio esercitando il dubbio, soprattutto verso ciò che ci sembra “ovvio” o “intuitivo”, che costruiamo opinioni più solide.
In questo processo, il fact-checking dovrebbe diventare un’abitudine, non un’eccezione: verificare le fonti e confrontare dati diversi è oggi una forma minima, e necessaria, di cittadinanza attiva.
Certo, anche i dati non sono mai “puri”: vanno sempre contestualizzati, letti con attenzione, compresi nel loro significato e nelle loro implicazioni. Un numero, da solo, non dice tutto. Ma senza numeri, rischiamo di discutere all’infinito senza sapere davvero di cosa stiamo parlando.
E allora forse vale la pena, ogni tanto, fermarsi a chiedersi: questa cosa la so, o la credo?
E da lì ripartire.

I consigli dell’autrice
– Brunori Sas, Secondo me

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