La sostenibilità conviene? O, meglio, la sostenibilità conviene “sempre”? O, ancora più in profondità, quanto viene ritenuto opportuno essere realmente sostenibili a tutto tondo quando non ci sono obblighi e soprattutto quando la propria clientela è ritenuta non troppo sensibile a queste tematiche?
Queste domande sono più centrate di quanto possa apparire a una prima lettura affrettata e vogliamo partire proprio da queste domande per questa nuova rubrica di Mediamo, una rubrica che vuole mettere al centro quello che facciamo da anni: occuparci di come comunicare la sostenibilità. Perché, leggendo in filigrana, è possibile (anzi auspicabile) continuare a lavorare in questa direzione, a patto che lo si faccia nel modo giusto.
Il paradossale “pericolo green (claims)”
“Rubo” dall’agenzia sorella Mas – Mediamo Area Sostenibilità, la definizione di normativa sui cosiddetti “Green Claims”: «La Direttiva sulle asserzioni ambientali volontarie è una normativa europea che fornisce linee guida per le dichiarazioni ambientali fatte da imprese e organizzazioni. È finalizzata a garantire che le affermazioni riguardanti l’aspetto ambientale dei prodotti e dei servizi siano accurate, verificabili, non fuorvianti e pertinenti». Bene se è vero, come è vero, che questa direttiva è sacrosanta e che proteggere i consumatori dal “greenwashing” è determinante per consentire scelte corrette e consapevoli a cittadini e cittadine, è anche vero che per evitare problemi ci sono realtà che stanno modificando le proprie strategie di comunicazione non prestando maggiore attenzione alle dichiarazioni legate al rispetto dell’ambiente, ma cambiando il focus della propria comunicazione. Ovvero, per evitare multe o danni reputazionali conseguenti a provvedimenti punitivi, meglio non parlare proprio di sostenibilità e impatti ambientali, anche quando il percorso è realmente virtuoso.
Il caso Harley Davidson
Altro continente, andiamo in America, altro tema. È di questi giorni lo statement con cui Harley Davidson ha annunciato di chiudere i propri programmi DEI (Diversity, Equity and Inclusion) e, anzi, di aver rinunciato alla funzione dedicata a queste tematiche e di aver di conseguenza interrotto campagne di comunicazione. Stesso discorso vale per un’altra azienda americana, la John Deere che produce trattori e macchine agricole.
Il tema (che potete approfondire in questo interessante articolo de Linkiesta https://www.linkiesta.it/2024/08/linaspettata-retromarcia-della-harley-davidson-sulla-diversity-riapre-il-dibattito-sullinclusione/) è scivoloso e riguarda, inevitabilmente, il fatto che tra poche settimane si voterà negli Usa per le presidenziali. Ma dice anche come le aziende, pur di non scontentare i propri clienti (o presunti tali), corrano il rischio di fare passi indietro su importanti temi sociali e/o ambientali. In buona sostanza le storture di una comunicazione esclusivamente di parte (non solo per quanto riguarda l’informazione) rischia di far deragliare dai binari del miglioramento complessivo.
Al passo coi tempi (e non di gambero)
Questi esempi, che al momento sono solamente potenziali tendenze, fanno capire come il paradosso ci sia e vada monitorato, per evitare concreti passi indietro sulla strada della sostenibilità: è importante non adottare il passo del gambero, ma stare al passo coi tempi.
È giusto che il greenwashing venga punito, così come è giusto che non si scada nel socialwashing, ma è anche necessario comunicare la sostenibilità, farlo bene con il giusto equilibrio tra risultati misurabili ed efficacia della comunicazione stessa, ovvero della capacità di toccare le corde di cittadine e cittadini. Perché comunicare la sostenibilità, e farlo bene, conviene.